Tour di San Jacopino: spazi verdi conquistati e da conquistare

Giardino Maragliano / San Jacopino

Il punto di partenza del percorso è l’ingresso principale del giardino di San Jacopino in via Maragliano. E’ un giardino nato dall’esigenza di spazi verdi e sociali in un rione cresciuto a dismisura negli anni Sessanta e Settanta. L’ultimo spazio libero dall’edificazione selvaggia viene occupato nel febbraio 1975 dagli abitanti della zona riuniti in varie associazioni e comitati, così come ben raccontato dal libro Una storia a memoria… La bella occupazione. L’area ex Ideal Standard nel quartiere di San Jacopino a Firenze che si può trovare nell’adiacente Libreria Marabuk. L’occupazione della “Palazzina”, sede della direzione della fabbrica fu il primo passo per la rivendicazione di un’ampia area dismessa di ex officine di cui si possono ancora vedere due dei capannoni riadattati ad altro uso verso il confine Nord del giardino stesso.

Grazie ad un gruppo di architetti e volontari che presentarono un articolato progetto di giardino, scuola e spazi pubblici è stata costruita la Scuola Media Verdi, denominata Scuola Gialla e la sua palestra (le cui sperimentazioni architettoniche hanno fatto scuola a cominciare dal tetto dell’auditorium, che, quando le regole lo consentivano, si trasformava in teatro all’aperto) che si affaccia sul giardino. In occasione di un’altra occupazione per il ritardo dei lavori di costruzione del giardino sono stati piantati tre Pini domestici, uno dei quali, sopravvissuto, domina ora in maniera maestosa il centro del giardino che via via si è arricchito di varie piantagioni.

Nel 2012, dopo un periodo di abbandono da parte dell’amministrazione pubblica, si forma l’Associazione Giardino San Jacopino che ha garantito da allora ad oggi l’apertura e la chiusura del giardino e lo ha dotato di diverse infrastrutture e ‘decori’ fra cui una piccola biblioteca per scambio libri all’aperto, murales, tronchi di albero avvolti da tessuti colorati, richiedendo anche interventi all’amministrazione per un mini campi da calcio e da basket (ora presenti insieme ad un fontanello pubblico d’acqua), bagni pubblici (anche se chiusi da anni) e numerosi giochi per bambini, in realtà insufficienti per una popolazione vasta che dispone solo di questo giardino. L’utilizzo da parte di un numero di utenti così alto renderebbe necessario l’allestimento di un’altra area verde; fin dal 2014 nel piano urbanistico era stata individuata l’area dell’ex tacchificio di via delle Carra come possibile area verde del rione, mai realizzata.

Lorenzo Tonda all’opera sul dipinto murale che sembra quasi colloquiare con i tanti personaggi rappresentati – tutti a piedi nudi, una donna che balla, un giovane che rompe le catene, altri che banchettano. Accompagna il dipinto murale un’esperienza immersiva nella realtà virtuale realizzata da Federico Niccolai.

Il giardino nell’ottobre 2021 viene rinominato Giardino Samb Modou e Diop Mor per ricordare le vittime dell’attentato fascista e razzista del 13 dicembre 2011. Una volta attraversato il giardino usciamo dall’uscita secondaria di Via Spontini e svoltiamo a destra. Proseguiamo sempre su via Spontini fino all’angolo con Via Galliano sono ancora sopravvissute delle case coloniche, quasi non più riconoscibili perché ormai circondate da grandi condomini.

Case coloniche residue

Il rione di San Jacopino – Cascine era una zona scarsamente abitata che si trovava “fuori dalle mura” fino al loro abbattimento nella seconda metà dell’Ottocento con la creazione dei viali ancora esistenti. Nel 1781 la parrocchia di San Donato in Polverosa (San Jacopino) risultava avere 36 focolari (famiglie), attorno al 1833 aveva 1368 abitanti e 30.000 negli anni Settanta del Novecento. Era una zona agricola come tutta la piana fiorentina che, fuori dalle mura, si estendeva fra le pendici delle colline e l’Arno, con grosse proprietà affidate a gestione mezzadrile attraverso la divisione del terreno da coltivare in poderi, ciascuno con una casa colonica.

Rimase una zona scarsamente abitata fino alla seconda metà dell’Ottocento, quando la presenza della Stazione Leopolda, delle Officine Ferroviarie e di alcuni impianti industriali portò alla costruzione delle prime case “per operai”, per i ferrovieri delle Officine Grandi Riparazioni, ma anche per persone indigenti, i “casoni”, frutto dell’edilizia popolare (viale Corsica, Via Spontini /angolo via Galliano, ecc).

Il tradizionale lavoro nei campi rimase, ma si mescolò con il lavoro nelle piccole e medie fabbriche delle industrie meccaniche, tipografiche, del legno, artistiche, e nelle Officine Ferroviarie che erano molto grandi e assorbivano molta manodopera. Come un po’ in tutta la Toscana esisteva un tipo particolare di lavoro, il lavoro a domicilio, soprattutto nei settori della lavorazione della paglia per fare cappelli, dell’abbigliamento, dei ricami e cappelli, lavori tipicamente femminili.

Con gli anni Sessanta e Settanta la costruzione dei grossi palazzi eliminò il terreno e il lavoro agricolo; resistono alcune case con struttura tipica del mondo contadino nascoste qua e là nel rione, riadattate dapprima a laboratori artigianali e via via ad abitazioni civili. Fu anche demolita la settecentesca villa Maragliano, che aveva un giardino di 2400 metri quadrati, con annosi esemplari di ginkgo e di sughera salvati a furor di popolo dall’ingombrante speculazione edilizia progettata da Marco Dezzi-Bardeschi; il primo esiste ancora, l’altra è morta pochi anni fa dopo lunga malattia causata dalle potature rese necessarie dal confinamento troppo a ridosso dei fabbricato, e sostituita con un giovane esemplare della stessa specie.

Riuscite a riconoscere un podere in Via Maragliano da questa foto di un’apparente villetta ad un piano? Forse se avesse le sue campagne intorno invece che essere assediata dal cemento sarebbe più facilmente riconoscibile…

Proseguiamo, sempre su via Spontini fino all’angolo con via del Ponte alle Mosse, qui svoltiamo a sinistra quindi fino al primo semaforo, attraversiamo la strada ed entriamo in via Paisiello. Svoltiamo alla prima a sinistra ed arriviamo in piazza Bonsanti. Attraversiamo la piazza ed arriviamo in via Vittorio Gui, svoltiamo alla prima a destra ed entriamo in via Giovanni Michelucci fino a piazza Zoli.

Quartiere Leopolda

Il quartiere Leopolda nasce come Piano di Recupero di un’area ferroviaria dismessa (scalo merci), concepito con un alto indice fondiario, palazzi alti sei piani, destinazione d’uso residenziale, con un albergo a un’estremità e poco commercio concentrato in piazza Bonsanti, assolato solaio di copertura di autorimesse interrate. Il verde pubblico è ridotto a ritagli tra gli edifici e le strade, privo di sedute, inidoneo allo svago e al gioco di grandi e piccini. Si tratta di un quartiere con poca vita pubblica (i negozi sono quasi tutti vuoti), senza schiamazzi e con tanti stalli di sosta per le auto, apprezzato dalla popolazione poco avvezza a spostarsi col trasporto pubblico extraurbano; una delle principali battaglie condotte dai residenti associati è stata finalizzata ad allontanare gli autobus turistici, non funzionali alla vita rionale, ma anche i capilinea del trasporto pubblico regionale, del quale evidentemente essi si servono molto meno rispetto agli utenti abituali residenti nel rione, che ne apprezzano comodità e tragitti senza rottura di carico. Non viene invece lamentata la modestissima offerta di treni diretti a Empoli proprio da quel quartiere.

L’area Leopolda è idealmente confinata fra Via Paisiello, Via del Ponte alle Mosse (nome derivante dalle corse dei cavalli che si svolgevano…) e l’attuale tratta ferroviaria che parte dalla Stazione Leopolda per andare verso Empoli.

A seguito di un fallimento, due aree edificabili, una compresa tra via Bausi e piazza Bonsanti e una tra piazza Zoli e via Paisiello, non hanno visto concretizzate le previsioni dello strumento urbanistico vigente e sono state conquistate da vegetazione spontanea, anche arborea, costituendo con ciò aree di reperimento strategiche per nuovo verde pubblico in un rione che ne è poverissimo, riqualificabili previa bonifica e, in un caso, la demineralizzazione della superficie.

Nonostante la frammentazione in piccole aiuole del verde alberato, la scelta delle specie mostra una concezione innovativa, non più interamente basata sullo stupore ornamentale di specie esotiche proposto per decenni dai cataloghi dei vivaisti, bensì sulla selezione di specie arboree proprie degli habitat boschivi della piana fiorentina: farnia, carpino, frassino meridionale, olmo, accompagnati da fioriferi, ma poco longevi mirabolani e da inadatti maggiociondoli, in gran parte seccati; le siepi sono composte soprattutto da alloro e lentaggine. Le fioriere di piazza Bonsanti, spoglie per molti anni anche per l’assenza di irrigazione, accolgono una macchia mediterranea composta da alaterno, cisto, corbezzolo, lentisco, oleandro nano e mirto, capace di tollerare il sole abbacinante e bisognosa di poca acqua, ma anch’essa assai sofferente per irrigazione ancora carente; nelle uniche due piccole aiuole in piena terra un leccio e una sughera completano il corteggio floristico, mentre quelle che si affacciano su via Paisiello alludono all’antico paesaggio agrario con olivo, melograno e acero campestre.

Da piazza Zoli svoltiamo a destra, quindi a sinistra ed entriamo in via Mercadante, alla seconda a destra, via Amilcare Ponchielli, qui entriamo all’interno del cortile del “Casone dei Ferrovieri”.

Un po’ di verde e qualche albero nel cortile del ‘casone dei ferrovieri’ nella cui entrata ci accoglie una lapide in onore dei martiri della resistenza anti-fascista.

Area ex Officine Grandi Riparazioni

La zona che da viale Belfiore si estende fino alla Manifattura Tabacchi è stata dalla metà dell’Ottocento sede di impianti ferroviari, dapprima ospitando la stazione Leopolda punto di arrivo dell’omonima ferrovia che collegava Firenze con Pisa e Livorno ma la stazione funzionò solo dal 1848 al 1860, sostituita poi da quella di Santa Maria Novella.

Nel 1905, parallelamente alla statizzazione delle ferrovie italiane, in questo zona nacque l’Officina ferroviaria di Firenze, divenuta poi Officina Grandi Riparazioni di Firenze Porta a Prato, attrezzata per la manutenzione, il rinnovamento e le riparazioni di locomotive e carrozze danneggiate da incidenti o avarie.

Non a caso li vicino (tra Via Rinuccini e via Paisiello) fu fabbricato un complesso di edifici che formano un quadrilatero con due ingressi, chiamato Casone dei ferrovieri. Durante la Liberazione di Firenze fu sede di organizzazioni partigiane, come ricorda una lapide posta all’ingresso di Via Rinuccini.

Nello spazio liberato dopo la dismissione delle Officine, sono sopravvissute poche strutture edilizie adibite ad eventi oggi denominate La Leopolda, è stato costruito il Teatro del Maggio Fiorentino e, dopo la vendita a un privato, si prospetta la costruzione di un mega insediamento ad uso residenziale.

I cittadini del rione, riuniti in associazioni e comitati, rivendicano da anni l’uso pubblico di tutto quello spazio, il mantenimento degli spazi arborei e verdi, la creazione di spazi sociali nei capannoni che non potranno essere abbattuti. Come associazione i 4 Luoghi hanno anche ripetutamente inviato alle autorità progetti di valorizzazione ad uso pubblico e sociale dell’area.

La paventata costruzione di edifici alti come o ancor più di quelli del confinante quartiere Leopolda interromperebbe il ricambio d’aria tra il Parco delle Cascine e il densamente edificato rione Puccini-San Jacopino, con peggioramento delle condizioni climatiche e della qualità dell’aria.

L’area ex Officine Grandi Riparazioni è abbandonata da decenni; sulla massicciata ferroviaria sono cresciute specie arboree anche della flora locale, come pioppi bianco e nero (e suoi ibridi); in adiacenza al Canale macinante, quei terreni costituiscono un’area di reperimento per un corridoio ecologico ripariale di collegamento tra il centro storico, le Cascine e la ex Manifattura Tabacchi, con una flora arborea e abustiva ispirata agli habitat naturali caratteristici della piana.

Attraversato il cortile del Casone dei Ferrovieri usciamo in Via Rinuccini, svoltiamo a sinistra. Sempre in via Rinuccini alla seconda a destra svotiamo in via Paisiello e proseguiamo fino a via della Cascine.

Arriviamo fino al ponte sul fosso Macinante per vedere il “corridoio ecologico” fra viale F.lli Rosselli e via Pistoiese.

Quindi, torniamo indietro per raggiungere l’ingresso della ex Manifattura Tabacchi.

Manifattura Tabacchi

L’area della Manifattura Tabacchi divenne dal 1940 la sede della produzione di prodotti basati sul tabacco, dopo la chiusura della struttura precedente, Sant’Orsola. Creata dallo studio dell’architetto Nervi, progettista anche dello Stadio di Campo di Marte, è oggi in corso di ristrutturazione da parte di privati. Le maestranze della Manifattura furono sempre a fortissima prevalenza femminile e segnarono la storia della città con la loro presenza e le loro lotte. I luoghi che rappresentano la storia del lavoro delle donne sigaraie, che in molte altre città ha avuto riconoscimento e hanno visto valorizzati sia i luoghi che la storia del lavoro, a Firenze rischiano di sparire, anche per il destino di Sant’Orsola. La storia di questo sostanzioso gruppo di donne che intreccia la propria vita con quella della città per più di un secolo non si limita infatti al periodo della Manifattura in zona Cascine ma si intreccia con i rioni dell’Oltrarno e di San Lorenzo, sedi di precedenti opifici.

Del periodo fascista resta testimonianza in un bassorilievo che si trova nella piazza dell’orologio che mostra in maniera plastica l’ideologia del regime con la rappresentazione da una parte dell’uomo fascista creatore di imperi coloniali e dall’altra quella dell’asservimento della parte femminile, destinata al lavoro di riproduzione della “stirpe” da offrire alla nazione per l’espansione sui popoli “inferiori”. La scritta che sta sotto questa raffigurazione “A voi eroiche madri operaie” suona come beffa. In realtà le donne “sigaraie” furono ben altro: attive nel sostegno alla Resistenza, partecipi dello sciopero del marzo 1944 in piena occupazione fascista, riuscirono a mettere in scacco anche il famigerato Mario Carità che entrò nella Manifattura minacciando e uscì deriso. Le donne infatti istigarono i militi che seguivano Carità a riempirsi di sigarette e poi avvisarono la portineria che fece una perquisizione e trovò la refurtiva, mettendo in serio imbarazzo la banda che era arrivata per minacciare e andò via sconfitta.

Oggi le continue varianti per la costruzione del complesso edilizio della Manifattura Tabacchi sta portando alla progressiva saturazione degli spazi; l’unico residuo di verde, di potenziale valore naturalistico è rappresentato dalla stretta striscia di terreno, fuori comparto, tra ferrovia e Fosso Macinante.

Alla ex Manifattura Tabacchi è attribuito ai sensi del Piano di Recupero vigente l’onere della progettazione della sistemazione a verde dei terreni compresi tra il suo confine sud-ovest e il Canale Macinante, idonei a contribuire al corridoio ecologico di collegamento tra viale F.lli Rosselli e via Pistoiese; peraltro sulla sponda destra del canale, insieme alla robinia e all’ailanto, sono radicati significati esemplari di quercia e di olmo, indicatori della suscettibilità di quei terreni ad accogliere una vegetazione arborea e arbustiva riparia.

Risulta perciò fondamentale la sua salvaguardia, scongiurando il suo “sacrificio” ad infrastrutture stradali.

Ringraziamenti

E’ stato possibile realizzare questo urban nature tour grazie alle testimonianze di alcuni abitanti del quartiere come Adriana Dadà (storica) Stefano Sansavini (fotografo) e Paolo Degli Antoni (agronomo e filosofo al tempo stesso ed ispirandosi così alla figura di Gilles Clément) partecipanti più o meno trasversali a quello scenario di comitati popolari, centri sociali e circoli ARCI (quest’ultimi illustrati così bene dal recente libro A casa del Popolo di Antonio Fanelli) fra cui il Circolo Ricreativo fra i Lavoratori di Porta al Prato e il Comitato cittadini ex area fiat belfiore attivi nella zona Nord di Firenze così come il Centro Sociale Next Emerson che recentemente ha lanciato una iniziativa di recupero di memorie resistenti del territorio intitolata Macchie Urbane e suddivisa nella sezioni memorie (appunto) ma anche percorsi.